Tecnologia italiana, capitali stranieri

di Domenico Di Monte, Presidente Assofluid

Prendo spunto dalle ultime notizie di attualità che riguardano l’acquisto di aziende italiane o di quote di queste da parte di multinazionali o fondi stranieri. Mi riferisco, in particolare, alla vicenda che vede i treni di Italo passare sotto il controllo del fondo Usa Global Infrastructure Partners, che ha convinto gli azionisti mettendo sul piatto circa 2 miliardi di euro, e alla recente acquisizione da parte del colosso cinese Guangzhou KDT Machinery Co. del 75% di Masterwood, azienda riminese produttrice di macchine per la lavorazione del legno.
La ragione per la quale questi due esempi sono, a mio avviso, particolarmente significativi è che ci permettono di analizzare due situazioni che considerano secondo prospettive differenti sia settori, sia tecnologie e obiettivi di business. Da un lato vi è il settore dei trasporti, strategico per ogni Paese, approcciato attraverso l’ingresso in una delle realtà principali sia a livello dimensionale, che tecnologico; dall’altro vi è il settore delle macchine per legno, ritenuto da sempre uno dei fiori all’occhiello del sistema industriale e della tecnologia Made in Italy, con un importante peso a livello europeo e mondiale, e dove l’oggetto dell’interesse è una realtà di successo e rilevanza tecnologica, ma di dimensioni molto più contenute.
Nello stesso tempo, il fatto che le due operazioni siano realizzate da soggetti geograficamente agli antipodi, americani e cinesi, indica il fermento e l’attività che contraddistingue indistintamente tutti i principali mercati e l’attenzione degli investitori a indirizzare i capitali in settori e aziende “tecnologicamente strategici”.
Non intendo entrare nel merito dell’opportunità o meno di mantenere la proprietà italiana delle aziende sul nostro territorio con motivazioni populiste o con inutili campanilismi, anche perché diverse importanti realtà italiane negli ultimi tempi stanno acquisendo aziende e brand stranieri (vedi le operazioni effettuate da Ferrero negli USA). Ciò che mi preme sottolineare è la necessità di pianificare e avere una visione strategica del business che consideri tutte le variabili, a cominciare dallo sviluppo tecnologico, che mi auguro possa essere comunque governato e gestito dall’Italia, perché questa capacità è una delle prerogative delle nostre aziende.
Mi piace pensare che la necessità sempre più incombente di competere sui mercati internazionali, e di aumentare dunque il business, possa essere soddisfatta grazie alle competenze tecnologiche e ai capitali italiani; nello stesso tempo sono sempre molto titubante quando penso che settori fondamentali per la vita e la società di un Paese, come quello dei trasporti, possano essere controllati o comunque influenzati da entità che, di fatto, non vivono quotidianamente “il Paese” e le prerogative che lo caratterizzano.
La grandezza di una nazione si misura dal livello tecnologico, ma anche dalle modalità con cui lo Stato mette i propri cittadini nelle condizioni di usufruire dei benefici che quelle tecnologie possono portare. In un mercato globale le dimensioni aziendali, la possibilità di sfruttare economie di scala e la presenza internazionale sono sempre più importanti per conquistare nuovi mercati e incrementare il proprio business.
Mi auguro solo che la moneta di scambio per questa crescita non sia la tecnologia e, soprattutto, che i benefici di questo sviluppo si riflettano in una crescita complessiva del Paese e non solo delle singole aziende.