L’intelligenza collettiva al servizio del progresso

di Domenico Di Monte, Presidente Assofluid
Prendo spunto da alcuni articoli letti di recente in cui si fa riferimento alla cosiddetta “intelligenza collettiva” e all’evoluzione del rapporto tra uomo e macchine, per fornire qualche spunto di riflessione e fare qualche considerazione legata all’associazionismo. In particolare sono affascinato dalle teorie di Geoff Mulgan, studioso e direttore esecutivo di Nesta, una delle principali organizzazioni britanniche per la social innovation, il quale sostiene che il futuro sarà caratterizzato da una sinergia virtuosa, che possa combinare e valorizzare allo steso tempo cervello umano e tecnologia.

La connessione tra uomini e macchine, infatti, dovrebbe consentire il progresso della cosiddetta intelligenza collettiva, ovvero lo sviluppo di quella che lui definisce “Big mind”, una forma di intelligenza pervasiva e diffusa in ogni ambito, costantemente potenziata in tempo reale grazie all’apporto di diversi elementi, portando a una vera e propria “mobilitazione incrementale delle competenze”.

Un concetto affascinante proprio per la sua ampiezza, un’idea di sviluppo che abbraccia tutte le fonti di sapere, che mette idealmente a fattor comune tutte le competenze e che può creare un circolo virtuoso potenzialmente infinito. Basti pensare all’apporto che, se strutturato, potenzialmente potrebbero fornire tutti i soggetti che partecipano direttamente o indirettamente a un processo o attività, in qualsiasi ambito, anche aziendale, dai dipendenti ai fornitori e clienti di una qualsiasi realtà.

Questo pensiero, o prospettiva che dir si voglia, nasce da un concetto ancor più datato, approfondito in particolare dallo studioso Pier Lévy, che nel 1994 dedicava un testo all’analisi dell’intelligenza collettiva: “L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio”. Ciò che mi interessa, in particolare, è il presupposto alla base di questi studi, ovvero che “il saper è sempre diffuso, non esiste nessuno che possa sapere tutto ma ognuno sa qualcosa e che la totalità del sapere risiede nell’umanità stessa” (cit. Wikipedia). Di conseguenza la crescita è necessariamente legata alla condivisione della conoscenza.
Del resto vi sono già tecniche che prescindono dall’utilizzo di tecnologie particolari, come quella del brainstorming, utilizzato per risolvere problemi o semplicemente elaborare nuove idee, che sono semplicemente una pratica di pensiero collettivo. Il processo virtuoso per il quale un’idea ne innesca un’altra, dando vita a un circolo che consente di elaborare soluzioni e pensieri originati proprio dal confronto proattivo tra più persone, le cui idee sono legate alle competenze e conoscenze dei singoli.

Sono fermamente convinto che il progresso non possa prescindere dallo sviluppo di un “metodo” che porti ad aumentare costantemente l’intelligenza collettiva in ogni contesto in cui sia necessario prendere una decisione e che le nuove tecnologie digitali possano rendere questo processo ancora più efficiente ed efficace. Sono altresì convinto che nel nostro piccolo, anche attraverso l’associazionismo, possiamo contribuire a strutturare questo “metodo”. L’unico rischio che vedo è quello di appiattire la valutazione dei singoli contributi considerando allo stesso modo tutte le idee senza pesare le competenze, l’esperienza e la preparazione di chi le espone e di confondere l’intelligenza collettiva con il “pensiero della maggioranza”, due concetti decisamente differenti. L’auspicio è che la consapevolezza di essere parte di una collettività la cui crescita è legata all’apporto di ogni singolo individuo sia lo stimolo per ricercare anche a livello personale il miglioramento continuo.