Industria, Impresa, Paese 4.0

Di Domenico Di Monte, Presidente Assofluid

È già tempo di bilanci per il ministro Calenda e per l’intera industria italiana. È tempo di verificare l’impatto del piano “Industria 4.0” presentato lo scorso anno e che, sia pur in un tempo limitato, ha già fatto riscontrare importanti risultati. Il primo dato significativo è che nei primi sei mesi di quest’anno gli investimenti delle imprese in macchinari e apparecchiature elettroniche sono cresciuti del 9% rispetto allo stesso periodo del 2016, raggiungendo quota 80 miliardi di euro. Inoltre, ad agosto gli ordini di impianti e macchinari hanno fatto segnare il miglior risultato dall’ormai lontano 2010.
Anche il dato sugli investimenti in R&S è confortante: su 28.000 imprese italiane che investiranno in R&S, 11.300 hanno dichiarato al ministero dello Sviluppo economico che quest’anno incrementeranno gli investimenti. È importante considerare che un terzo di queste lo scorso anno non aveva investito nulla in tale direzione. Tra i dati ulteriori emerge un quadro essenzialmente positivo, ma che lascia intuire quanto ancora si possa e si debba fare per spingere l’industria italiana, cominciando dalle misure di aiuto agli investimenti early stage in startup e imprese: i finanziamenti in questa direzione sono cresciuti infatti solo del 2%.
Ciò che più mi ha interessato dell’intervento di Calenda sono le indicazioni su quella che sarà la fase due del piano stesso, a partire dal cambio di nome, semplice nella forma ma non banale nella sostanza: da “industria 4.0” a “impresa 4.0”, lasciando intendere quanto sia importante che tutte le aziende, anche quelle di servizi, si orientino verso un progresso tecnologico imprescindibile per la competitività dell’intero sistema Paese. In tal senso la terza fase dovrebbe essere definita “Italia 4.0”, comprendendo lo sviluppo delle persone e dei modelli socio-economici in ottica 4.0.
Sono convinto, e mi auguro, che l’importanza data alla formazione non solo dei lavoratori, ma anche dei giovani in generale, vada proprio in questa direzione, a cominciare dal lancio del “Piano Nazionale Scuola Digitale” che vede la formazione di 150 mila persone sui temi del digitale e la creazione di 8.400 “animatori digitali” per portare la cultura digitale nelle scuole, coinvolgendo più di 1,3 milioni di studenti e 50.000 docenti sul pensiero computazionale. È stato inoltre avviato il programma Alternanza Scuola/Lavoro che ha coinvolto 90.000 studenti su tematiche Industria 4.0. Sullo stesso tema sono stati aperti i bandi per 700 dottorati (aa. 2017-2018) e finanziati i Cluster Tecnologici Nazionali con 1 miliardo di investimento pubblico-privato.
Non vanno tuttavia dimenticati i lavoratori che oggi operano in azienda. Infatti, se è vero che gli studenti rappresentano il futuro prossimo dell’impresa, non bisogna trascurare il presente, e dunque la necessità di far crescere anche la forza lavoro attualmente impiegata in azienda.
Il ministro ha promesso che “le imprese che effettueranno una spesa incrementale in formazione avranno accesso al credito d’imposta sulla formazione 4.0” e la cosa più importante è che ha sottolineato come le tematiche “non siano solo relative alla produzione ma includano: vendita e marketing, informatica e, naturalmente, tecniche e tecnologie di produzione”.
Si sta delineando, insomma, un cambio di cultura, più che di tecnologia. Stiamo vivendo in un momento storico in cui si sta ridisegnando l’economia del Paese; mi auguro che con questa consapevolezza si possa contare su una programmazione che abbia finalmente un orizzonte temporale più ampio, almeno quinquennale, che permetta alle aziende di pianificare strategie e di verificarne la bontà.
La strada è tracciata, indietro non si torna.